Pubblicato il: 10-05-2022

Lavoro: uno svizzero su due è insoddisfatto.

Uno su cinque, invece, punta a cambiare posizione entro l'anno.

Gli incentivi più importanti per cambiare lavoro sono la volontà di accedere a una retribuzione equa e maggiore flessibilità.

Fonte ats

elaborata da Davide Milo
Giornalista

ZURIGO - Uno svizzero su due è insoddisfatto del suo attuale impiego e uno su cinque pensa di cambiarlo nei prossimi 12 mesi, per poter accedere a un salario superiore o a un'attività più stimolante. È quanto emerge da uno studio realizzato a livello globale dalla società di consulenza PwC.

Soddisfazione bassa - L'impresa ha interrogato 52'000 dipendenti in 44 paesi (1000 nella Confederazione), in quella che viene definita la più vasta ricerca di questo tipo mai realizzata. Dalla Svizzera sono emerse indicazioni definite in parte sorprendenti: per esempio solo il 50% dei salariati è soddisfatto del suo posto di lavoro, una quota inferiore a quella (del 57%) rilevata a livello mondiale. «La soddisfazione è un po' più bassa in Svizzera, è una cosa che in effetti emerge», commenta il Ceo di PwC Svizzera Andreas Staubli, citato in un comunicato odierno.

Alla ricerca di una retribuzione equa... - «L'incentivo più importante per cambiare lavoro è la volontà di accedere a una retribuzione equa», prosegue l'esperto. «Inoltre, è importante che i dipendenti abbiano un lavoro che li soddisfi e in cui non debbano temere discriminazioni». Secondo Staubli «i datori di lavoro farebbero bene ad adattarsi alle mutate esigenze e a tenerle in considerazione quando progettano la loro strategia per le risorse umane». Questo perché i risultati del sondaggio mostrano che un'ondata di dimissioni come quella attualmente in atto in ambito anglosassone potrebbe interessare anche la Svizzera. «Le aziende dovrebbero quindi affrontare diversi scenari relativi al personale il prima possibile, per essere in grado di reagire con agilità ai cambiamenti del mercato».

 

lavoro oggi

.. e della flessibilità - Il tema che le aziende elvetiche non possono più evitare è la flessibilità delle sedi e degli orari di lavoro. Secondo lo studio, quattro intervistati su cinque (78%) vorrebbero poter lavorare da remoto, in tutto o in parte, nei prossimi 12 mesi. Nel confronto globale, tuttavia, il telelavoro è meno diffuso in Svizzera (45% contro 54%). «I dati riflettono una tendenza che abbiamo osservato già da tempo all'estero e che ora si è intensificata anche in Svizzera sulla scia della crisi del coronavirus», afferma Staubli. A suo avviso il lavoro ibrido è arrivato per restare: «presumo che rimarrà la forma di lavoro preferita dai dipendenti». Soprattutto a fronte della carenza di lavoratori qualificati, i datori di lavoro faranno bene a implementare i nuovi modelli. «Questo è l'unico modo per rimanere attraenti per i giovani talenti».

Divario tra i sessi - Dallo studio emerge anche un divario tra i sessi. La quota di donne che si sente remunerata in modo corretto è di 7 punti percentuali inferiore a quella degli uomini. «Tuttavia hanno anche 7 punti percentuali in meno di probabilità di chiedere un aumento», sottolinea il Ceo di PwC Svizzera. E sono sotto anche di 8 punti nella richiesta di una promozione. «Ogni datore di lavoro dovrebbe promuovere le pari opportunità e la parità di retribuzione, perché il talento non ha nulla a che fare con l'età, il sesso, la nazionalità, la disabilità, l'orientamento sessuale o altre caratteristiche individuali», afferma a questo proposito Staubli.

Differenze per fasce d'età - Le opinioni differiscono pure a seconda delle fasce di età: i dipendenti della generazione Z (18-25enni) sono meno soddisfatti del proprio lavoro e temono in una misura doppia, rispetto ai baby boomer (58-76enni), di perdere il proprio impiego nei prossimi anni a causa dei cambiamenti tecnologici.

I dipendenti sono anche particolarmente interessati al contributo del loro datore di lavoro all'economia, al clima e alla società. Il 43% degli interpellati ritiene importante che la propria azienda comunichi in modo trasparente l'impatto delle proprie azioni sull'ambiente. «In tale ambito le imprese sono sotto pressione e devono fare di più», conclude Staubli.

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